Le liberalizzazioni delle aperture delle attività commerciali, introdotte dal governo Monti a partire dal gennaio 2012, sono state varate senza alcun rispetto delle disposizioni contenute nello Statuto delle Imprese. Alla luce delle proposte avanzate in Parlamento dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, ora riprendiamo il confronto per fare una valutazione obiettiva dell’impatto che le nuove leggi hanno avuto sulle imprese e sui lavoratori.
Così commenta Confesercenti in una nota la ripresa della discussione per la revisione della legge delle aperture domenicali degli esercizi commerciali.
Una deregulation che avrebbe dovuto dare una spinta ai consumi. Ma che non sembra essersi trasformato in acquisti reali: nel 2017 le vendite del commercio al dettaglio sono state inferiori di oltre 5 miliardi di euro ancora sotto i livelli del 2011, ultimo anno prima della liberalizzazione. Mentre la deregulation ha spostato quote di mercato verso la grande distribuzione, contribuendo all’aumento dell’erosione del fatturato della gran parte dei piccoli esercizi, che hanno perso il 3% a favore della grande distribuzione: si tratta di circa 7 miliardi di euro di vendite travasate dai negozi alla GDO. In crescita anche l’online, tra le forme distributive non coinvolte dalle liberalizzazioni.
Quella dell’eccesso di liberalizzazione degli orari delle attività commerciali è una battaglia che – vogliamo ricordarlo – combattiamo dal 2013 quando abbiamo presentato alla Camera, con il sostegno di 150mila firmatari grazie alla campagna Liberaladomenica promossa da Confesercenti e Cei, la Legge di iniziativa popolare per la revisione della deregulation del commercio. Non abbiamo mai smesso di lottare per una revisione della normativa che riporti l’equilibrio tra le varie tipologie distributive commerciali. Una liberalizzazione disastrosa che ha creato un regime di concorrenza insostenibile per i piccoli esercizi di vicinato, che hanno chiuso a migliaia. Al Governo e al Parlamento non chiediamo di stare chiusi sempre, ma di restare aperti solo quando e dove necessario, specialmente nelle località turistiche. Perciò riteniamo che le competenze in materia debbano, necessariamente, tornare alle Regioni che conoscono il territorio e le sue specificità. Una proposta ragionevole, dunque e assolutamente compatibile con le prassi europee, che punta a correggere una distorsione.