Pesano tassi di interesse e tensioni internazionali, confermare sostegni ai redditi e accelerare messa a terra del Pnrr
Crescita debole, ma niente recessione. Come largamente previsto, il 2023 si chiude con una variazione del PIL positiva, ma inferiore – seppure di poco – alla previsione della Nadef, e in decisa frenata rispetto al 2022 e al 2021. A pesare sul quadro economico, oltre alla fine del rimbalzo post pandemico, un contesto internazionale segnato da tensioni e incertezze e un rialzo dei tassi di interesse di straordinaria entità, che solo da poco si è fermato ma non ha ancora invertito la rotta, influenzando pesantemente i comportamenti dei vari attori economici. Così Confesercenti.
Nonostante la frenata e il contesto mondiale particolarmente difficile, il risultato dell’ultimo trimestre fornisce però alcuni segnali incoraggianti sulla capacità di tenuta dell’economia italiana, che evita lo scivolamento tecnico in recessione e ci fa chiudere il 2023 con un lieve miglioramento sul trimestre estivo (+0,1% di crescita del Pil) e con un deciso passo avanti rispetto all’ultimo trimestre del 2022, in cui si era registrata una contrazione del -0,2%.
Ad aiutare la tenuta, i consumi delle famiglie: secondo le valutazioni elaborate da Confesercenti e CER, infatti, nel 2023 avrebbero fornito un apporto alla crescita del Pil pari allo 0,7%, spiegando quasi per intero la variazione positiva. Ed il ruolo di traino è andato, in particolare, al turismo e ad una sostanziale stabilità dei redditi, a sua volta riconducibile a una forte crescita degli occupati (+520mila unità a novembre).
La coperta, però, è corta. Con i prezzi comunque alti nel corso dell’anno, le famiglie hanno dovuto ridurre la quota di reddito destinata al risparmio – la cui propensione è scesa al 6,2%, uno dei livelli più bassi da oltre 30 anni – per conservare un adeguato livello di consumi: una strategia che non può durare a tempo indefinito. Le prospettive di sviluppo per il nuovo anno dipenderanno, dunque, da un lato dalle scelte di politica monetaria delle banche centrali, ma dall’altro anche dalla capacità di consolidare gli interventi già varati dal Governo sul fronte del sostegno ai redditi – in primo luogo il taglio del cuneo fiscale, da confermare anche per il 2025 – e dall’accelerazione della messa a terra degli interventi del PNRR.