Non solo la crisi: a pesare sull’innalzamento della disoccupazione dei giovani c’è anche la riforma previdenziale. L’introduzione della cosiddetta Fornero ha infatti portato ad un rapido aumento dei lavoratori compresi tra i 55 ed i 65 anni: rispetto al 2010, oggi ce ne sono quasi un milione in più. Un ulteriore ostacolo all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, che si somma alle difficoltà dovute alla crisi.
La ridotta domanda di lavoro, infatti, ha sicuramente limitato molto le opportunità di ingresso per i giovani. Ma anche la rallentata uscita dei lavoratori più anziani ha comportato un aggravio della situazione. Simulazioni per il quadriennio 2011-2014 effettuate “al netto della riforma”, ovvero partendo dalle tendenze osservate fino al 2010, evidenziano come senza la riforma Fornero si sarebbe osservato comunque un incremento non trascurabile del tasso di attività per la classe matura (55-64 anni), pari a 4 punti percentuali in un quadriennio. I dati effettivi, osservati ex-post e che includono quindi gli effetti della riforma, hanno evidenziato come invece il tasso di attività per questa classe di età si sia bruscamente innalzato di oltre 11 punti in quattro anni. I numeri assoluti sono impressionanti: si tratta infatti di quasi un milione (919mila) attivi in più rispetto al 2010 e 815mila occupati nella classe 55-64. Tale incremento ha in parte spiazzato l’occupazione giovanile, dato il periodo di domanda di lavoro in flessione per effetto della crisi, e quindi insufficiente ad assorbire l’offerta aggiuntiva.
Già prima della crisi, infatti, per i giovani l’ingresso nel mercato del lavoro risultava particolarmente difficoltoso; stime dell’Ocse indicano come in Italia fossero mediamente necessari 25.5 mesi per trovare un primo impiego (contro i 18 della Germania, i 19 del Regno Unito e i 14 della Danimarca). La situazione è però nettamente peggiorata con la crisi. Secondo i dati più recenti diffusi dall’Istat, a inizio 2015 tra i giovani tra i 18 e i 29 anni il tasso di disoccupazione è pari al 32 per cento, un livello più che raddoppiato rispetto alla situazione pre-crisi (15 per cento nel 2008).
Anche in questo caso hanno inciso le riforme previdenziali pregresse. Se durante gli anni ottanta e novanta il tasso di partecipazione (e di conseguenza quello di occupazione) è andato calando per la classe d’età compresa tra i 55 e i 64 anni, a fronte di un andamento invece stabile nella media europea, con il primo decennio degli anni duemila si è registrata un’inversione di tendenza. Si è infatti osservato un progressivo innalzamento del tasso di partecipazione e in quello di occupazione nelle classi di età più matura, da ricondurre a effetti dell’innalzamento dell’età di pensionamento conseguenza delle riforme degli anni novanta. Ma hanno inciso anche la maggiore diffusione di lavori mediamente più qualificati e meno usuranti, che si associa anche ad una maggiore propensione a restare più a lungo al lavoro.
Date le perduranti difficoltà per l’occupazione giovanile, si sta cominciando a discutere di un ammorbidimento delle regole previdenziali, per consentire un’uscita anticipata o comunque flessibile a chi lo desidera. Le ipotesi sul tavolo sono molteplici e al momento non è chiaro quale verrà attuata. Anche perché la questione è destinata a porsi con ancora maggior forza nel futuro. Nel 2020 l’Italia avrà l’età pensionabile più alta d’Europa: un fattore che – combinato all’invecchiamento generale della popolazione – potrebbe rendere la situazione ancora più preoccupante. Noi vogliamo dare un contributo: proponiamo di inserire all’interno dei contratti di settore una misura per la staffetta generazionale. Un intervento che permetta di far andare in pensione in anticipo un lavoratore anziano per assumere al suo posto un giovane.