Vendite: Confesercenti, inflazione assottiglia i consumi, piccole imprese le più penalizzate. Neanche i saldi estivi danno una spinta: vendite sotto lo scorso anno per un negozio su due

Vendite: Confesercenti, inflazione assottiglia i consumi, piccole imprese le più penalizzate. Neanche i saldi estivi danno una spinta: vendite sotto lo scorso anno per un negozio su due

L’inflazione assottiglia i consumi, e il carovita continua ad incidere sulle imprese del commercio e sulla spesa delle famiglie. Che, come conferma l’Istat, continuano a spendere di più per acquistare di meno: a luglio le vendite al dettaglio aumentano del 2,7% in valore rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, a fronte di un vero e proprio crollo (-4,5%) in volume. Una tendenza che neanche i saldi estivi riescono ad invertire, e che è particolarmente grave per le piccole imprese che, rispetto al luglio 2022, registrano un calo delle vendite anche in valore. Così Confesercenti.

L’estate segna dunque una marcata differenza nell’andamento delle vendite per forma distributiva. E se la Grande Distribuzione ed il commercio elettronico raccolgono segnali positivi, soffrono invece le attività di vicinato, che hanno meno margini di manovra e sono dunque le più penalizzate dall’aumento dei prezzi.  In particolare, nel non alimentare, dove il commercio tradizionale registra una variazione negativa del -0,6% in valore. Nonostante gli sconti, i saldi estivi, dunque, non portano la sperata boccata d’ossigeno per le vendite dei negozi di vicinato. Un risultato deludente, confermato dal sondaggio condotto da Fismo Confesercenti sulle piccole imprese del commercio moda, che vede oltre il 50% dei negozi segnalare vendite in calo rispetto ai saldi estivi 2022. In piena stagione dei saldi non si interrompe quindi la crisi del settore moda, le cui vendite – secondo le nostre stime – sono ancora di circa due miliardi di euro inferiori a quelle del 2017.

Le scelte di consumo delle famiglie italiane sono d’altronde fortemente penalizzate dall’erosione del potere d’acquisto provocato dall’inflazione.  I conti economici Istat ci confermano che nel secondo trimestre l’aumento del deflatore dei consumi è rimasto molto elevato, con un incremento tendenziale del 7,2%. Il valore reale delle retribuzioni unitarie è così diminuito nel trimestre del 4%, e del 4,3% nell’arco dei primi sei mesi dell’anno. La lentezza che caratterizza il processo di rientro dell’inflazione, con una variazione congiunturale dei prezzi al consumo che ad agosto è risalita allo 0,4% e la preoccupante flessione dell’occupazione registrata lo scorso giugno non lasciano intravedere alcun recupero delle retribuzioni reali nella restante parte dell’anno.

In queste condizioni, evidentemente molto più difficili di quelle immaginate lo scorso aprile in sede di stesura del DEF, le misure di difesa del potere d’acquisto di famiglie e lavoratori acquisiscono un ruolo fondamentale. Serve un intervento a largo spettro, che porti a detassare gli aumenti retributivi concordati dalle parti sociali per il recupero dell’inflazione. Il rischio di un’ulteriore erosione di potere d’acquisto determinato dal drenaggio fiscale non può essere sottovalutato se si vuole riportare l’economia italiana su un sentiero di crescita.

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